Resistenti… alla grandine

Da eventi naturali eccezionali a eventi consueti stagionali. La grandine colpisce con sempre maggiore frequenza anche le coperture degli edifici causando danni gravi e spesso irreparabili. Nell’articolo soluzioni, materiali e accorgimenti per la protezione dell’elemento di tenuta.
Gli eventi naturali eccezionali come grandine e vento, sono stati sempre, per le coperture continue (impermeabilizzate), uno dei principali motivi di danneggiamento di carattere meccanico (punzonamento dinamico per la grandine ed estrazione e/o lacerazione per il vento) dell’elemento di tenuta impermeabile.
In questi ultimissimi anni, però, forse per il cambio climatico del nostro pianeta, questi eventi “eccezionali”, si ripetono con una certa frequenza, specialmente per quanto riguarda la grandine, fino a diventare in qualche modo “eventi consueti stagionali”.
I sistemi impermeabili “a vista”, quindi non adeguatamente ricoperti da protezioni pesanti (mobili o fisse), vengono danneggiati, in modo spesso irreparabile dall’azione di “punzonamento dinamico” della grandine. Questi danneggiamenti, nella maggior parte dei casi, risultano infatti talmente diffusi, sulla superficie della copertura, che rendono, se non impossibili, spesso anche antieconomiche le riparazioni delle lacerazioni puntuali (normalmente a forma di mezzaluna o croce o stella), presenti sulle membrane, causate dall’impatto della grandine.
Nella maggior parte dei casi è pertanto necessario o spesso più conveniente realizzare la totale ricopertura dello strato impermeabile danneggiato, con uno nuovo e nei casi più gravi (quando vi è la deformazione puntuale dell’isolante termico) anche il rifacimento totale della stratigrafia, in tutti i suoi elementi e strati, con asportazione preventiva di quella danneggiata.
Nei danneggiamenti di carattere meccanico dovuti alle grandinate, non è comunque solo responsabile il clima, ma è spesso anche complice la progettazione e la realizzazione della stratigrafia impermeabile, infatti sono molte le precauzioni che si possono prendere su una copertura per evitare o almeno ridurre, al massimo, i danni da impatto da grandine, in eventi “normalmente eccezionali”.
Ovviamente la soluzione progettuale più sicura è quella di “proteggere” l’elemento di tenuta con una finitura di tipo pesante mobile (ghiaia, pavimentazioni galleggianti, terreno vegetale, ecc.) o di tipo pesante fissa (massetti industriali, piastrelle, cappe cementizie, ecc.). Quando, per vari motivi (costi, manutenzione, carichi strutturali, ecc.) non fosse possibile prevedere queste protezioni di carattere meccanico, sarebbe comunque bene adottare alcune attenzioni particolari, quali:
• Utilizzo di membrane impermeabili con adeguato spessore (consigliabile per le membrane in PVCP o TPO lo spessore 1,8 mm; consigliabile per le membrane in bitume polimero il doppio strato da 4+4 mm, con finitura granigliata).
• Utilizzo di membrane aventi armature particolarmente resistenti al punzona mento dinamico.
• Utilizzo, nei sistemi di copertura isolati a tetto caldo, di strati termoisolanti (posati all’intradosso dell’elemento di tenuta) con forte resistenza alla compressione (≥ 150 kPa).
• Non lasciare mai vuoti all’intradosso dell’elemento di tenuta (esempio gusce prefabbricate poste nell’angolo interno, al piede dei risvolti verticali, vuoti in corrispondenza di angoli esterni causati dall’accostamento di due pannelli termoisolanti posti su piani diversi, accostamenti mal eseguiti tra pannelli termoisolanti, ecc.); Per meglio spiegare il precedente concetto, si riporta questo esempio pratico: Se si prende un foglio di carta e lo si stende sulla superficie solida di un tavolo e lo si colpisce, anche forte, con un oggetto sferoidale, quasi sicuramente il foglio non subisce lesioni passanti, ma se lo stesso foglio lo si pone, fissato a ponte, tra due supporti rigidi, lasciando uno spazio vuoto tra loro e lo si colpisce in questa zona, sempre con lo stesso oggetto sferoidale, sicuramente esso subirà una lesione passante (effetto tamburo).
• Elemento di tenuta non correttamente stabilizzato (incollato/ vincolato) in continuo sul piano di posa dove per presenza di vuoti o irregolarità di quest’ultimo (es. grumi di malta o piccole depressioni del massetto cementizio delle pendenze o imbarcamenti di pannelli termoisolanti) esso risulta tesato o ondulato, con creazione di vuoti al suo intradosso.

Comportamento alla grandine delle membrane prefabbricate flessibili impermeabilizzanti
Il comportamento alla grandine di una membrana impermeabilizzante dipende dalla tipologia della membrana stessa, sintetica o bituminosa, e dal sistema posato.
Membrane sintetiche
In generale, le membrane sintetiche hanno buone capacità di resistenza alla grandine.
Fra le membrane sintetiche maggiormente diffuse per l’impermeabilizzazione dei tetti, in PVC-P e TPO, queste ultime sembrano dotate di una maggiore affidabilità.
Una prerogativa delle membrane sintetiche (TPO in particolare), é di essere sostanzialmente svincolate, per le proprie caratteristiche di resistenza alla grandine, dalla composizione del sistema impermeabilizzante posato, e dalla tipologia più o meno rigida del piano d’appoggio (calcestruzzo o pannelli isolanti).
Membrane in PVC-P
Durante l’esercizio in opera le membrane in PVC-P sono generalmente interessate da fenomeni di migrazione dei plastificanti, e perciò potenzialmente esposte a significative perdite di massa e della flessibilità originaria.
A ciò consegue una diminuzione delle caratteristiche resistenti che, a partire da un buon comportamento iniziale, comporta nel tempo una maggiore vulnerabilità all’urto dei chicchi di grandine.
Membrane in TPO
Le membrane in TPO, al contrario di quelle in PVC-P, hanno generalmente una composizione più stabile, e conservano perciò meglio e più a lungo le proprie caratteristiche chimico-fisiche originarie; resistono ottimamente alla grandine e mantengono tale capacità nel tempo, anche negli spessori d’utilizzo minimi (1,2-1,5 mm).
Membrane in bitume polimero
Le membrane, in bitume polimero, sono caratterizzate da una maggiore variabilità della propria capacità di fronteggiare gli eventi “grandigeni”. La resistenza alla grandine di una membrana in bitume polimero risente in modo rilevante sia della tipologia della membrana stessa, (per la natura del compound, l’armatura, la finitura superficiale, lo spessore) sia dal sistema impermeabile applicato, in termini di piano d’appoggio e di modalità applicative del sistema stesso. Per quanto riguarda il compound della membrana, i bitumi modificati con polimeri termoplastici di tipo elastomerico sono tendenzialmente più performanti; fra le armature, i non tessuti di poliestere sono indubbiamente preferibili alle armature in velo vetro; una finitura superficiale di auto-protezione aiuta a sopportare molto meglio l’impatto di chicchi con bordi acuminati; naturalmente spessori più elevati della membrana, aumentano decisamente le capacità resistenti della stessa.
Nel caso delle membrane in bitume polimero, a differenza di quanto avviene per le membrane sintetiche, il piano posa e le modalità applicative (in aderenza o in indipendenza) assumono una rilevanza maggiore. In linea generale, un piano di posa “morbido” (quale quello costituito da un pannello isolante) è meno collaborante di un supporto rigido (es. in calcestruzzo), così come la posa in indipendenza della membrana bituminosa ne sfavorisce le capacità di fronteggiare l’impatto dei chicchi di grandine.
La presenza di una membrana in bitume polimero di primo strato può contribuire notevolmente alla resistenza alla grandine della membrana dello strato superiore, ma occorre che l’incollaggio delle membrane costituenti i due strati sia davvero realizzato in aderenza totale, per quanto possibile senza zone di discontinuità dell’incollaggio stesso; Nel caso contrario, colpita nella zona tesa, a “sbalzo” fra due punti di ancoraggio sullo strato inferiore, la membrana dello strato superiore risulta più fortemente sollecitata.

Considerazioni teorico/sperimentali riguardanti i sistemi impermeabilizzanti resistenti alla grandine
I dispositivi sperimentali di prova oggi disponibili misurano generalmente velocità d’impatto fino a circa 30 m/s, valutabili, secondo il calcolo previsionale, come corrispondenti a chicchi di grandine all’incirca del diametro di circa 26-27 mm.
In base alla disponibilità di dati attuali, e dell’informazione tecnica reperibile nelle pubblicazioni dei produttori, le membrane sintetiche sono normalmente in grado di superare le prove specifiche realizzabili con tali apparati sperimentali, al massimo delle capacità di misura (salvo un potenziale degrado prestazionale durante l’esposizione in esercizio, relativamente al caso del PVCP). Le membrane in bitume polimero, di buon livello, dotate di ottima resistenza all’invecchiamento, possono invece fornire risultati diversi )secondo la propria composizione e il sistema di copertura in cui sono inserite), in un campo che varia da velocità di circa 20-22 m/s a circa 30 m/s delle sfere proiettate contro provini posati a secco su supporto “morbido” (corrispondenti a chicchi di grandine con diametro dell’ordine dei 12 – 27 mm).

Misura dell’intensità della grandinata
L’intensità di una grandinata viene attualmente determinata secondo la “scala TORRO”, che fu ideata, elaborata e introdotta ufficialmente nella scienza meteorologica da Jonhatan Webb, di Oxford (UK), nel 1986. TORRO è l’acronimo di “TORnado and storm Research Organization”. La “scala TORRO” prevede delle categorie alle quali sono associate numerose tipologie di danni per classificare in maniera quanto possibile precisa gli “eventi grandigeni”.
I potenziali danni possono dipendere da numerose variabili:
- dimensione del chicco di grandine;
- velocità di caduta del chicco;
- durezza del chicco;
- forma del chicco;
- orientamento della traiettoria di caduta del chicco.
L’intensità di una grandinata può essere agevolmente determinata se questa avviene su un’area costruita, ovvero su aree piene di manufatti, che hanno la capacità di mantenere evidenti i danni ed è stabilita con riferimento al danno maggiore che ha causato.
Quando i danni non possono essere misurati, come nel caso di una grandinata che si è verificata in aperta campagna, l’intensità del fenomeno viene messa in relazione alla grandezza del chicco di grandine e non più al danno che potenzialmente avrebbe causato. Nel caso in cui i danni non siano evidenti, viene comunque assegnata la categoria più bassa. Lo stesso criterio è utilizzato nei casi in cui i danni non possono essere quantificati.
Ad esempio una grandinata con chicchi della dimensione di un acino d’uva, può causare danni nel “range H6-H8” delle intensità TORRO, ma se i danni non possono essere quantificati, la grandinata viene declassata al primo limite inferiore, cioè “H5”.
In altri termini è senz’altro possibile dire che c’è una stretta relazione tra dimensione del chicco e danno causato, senza tuttavia escludere deviazioni da tale correlazione.
Infatti, è possibile che chicchi di grandine particolarmente grandi causino danni minori, perché inseriti in seno a forti correnti contrarie rispetto ad altri più piccoli, inseriti all’interno del tornado.
Sono state perciò costituite diverse categorie, nelle quali inserire la molteplicità dei danni, allo scopo di meglio classificare la varietà degli eventi.


Antonio Broccolino
con Alessandro Rotolo e Fabio Vallati
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