Gli errori ripetuti

Libri, manuali, articoli tecnici, seminari… Nonostante gli sforzi per diffondere la regola dell’arte, nel campo dell’impermeabilizzazione si continua a sbagliare. E quasi sempre ripetendo gli stessi errori. Colpa del progettista o responsabilità delle imprese?
Da quarant’anni mi occupo di impermeabilizzazione.
Inizialmente come applicatore, poi come dirigente tecnico commerciale di un’importante azienda di produzione e più recentemente come progettista, consulente e Ispettore di società di verifica a fini assicurativi. Negli ultimi quattro anni ho scritto più di cinquanta articoli che insieme a tutti i contributi degli altri tecnici e specialisti del settore come Mario Piccinini, Giovanni Buccomino, Sergio Croce, Alessandro D’Introna, Matteo Fiori, sono serviti per analizzare in ogni dettaglio gli aspetti progettuali, i materiali, le tecniche di posa, gli errori. Per non parlare degli oltre quattrocento cantieri all’anno di cui mi sono occupato negli ultimi anni la maggior parte dei quali a fini assicurativi. Fatta questa premessa viene spontaneo fare un bilancio di tanta attività e tirare le somme. Gli errori progettuali e di esecuzione sono sempre gli stessi che si ripetono con una regolarità quasi disarmante. Insomma è come se questi quarant’anni non fossero mai trascorsi.
Quando mi capita di verificare sistemi impermeabili da realizzare con membrane flessibili, in particolare quelle in bitume polimero, devo purtroppo attribuire, al progetto o al capitolato, quasi nel 90% dei casi, un giudizio iniziale di “non conformità a fini assicurativi”. Poi, fortunatamente, gli aggiustamenti di carattere tecnico (stratigrafia, particolari esecutivi, ecc.) che vengono inseriti, dopo il primo giudizio di “non conformità” nel progetto/capitolato, da parte del Progettista o Direttore Lavori o Applicatore, permettono, molto spesso, in 2^ o 3^ fase di verifica, di ridurre o annullare le “criticità” segnalate e quindi anche le indicazioni di “non conformità a fini assicurativi” riportati nei “report finali” inviati al Cliente e/o all’Assicuratore. Talvolta, quando il parere di non conformità viene espresso, come Ispettore di un Organismo accreditato Accredia, il Progettista, un po’ risentito, risponde che quel progetto è stato già verificato da altro Organismo d’Ispezione. E quindi non comprende la non conformità chiedendo in base a quali Norme il progetto non è stato ritenuto “conforme a fini assicurativi”. Premesso che sarebbe anche interessante capire in base a quali Norme, l’altro Organismo d’ispezione ha dato parere di conformità al progetto, comunque è anche comprensibile che queste situazioni lascino perplessità … chi ha ragione tra i due Organismi? Forse è lecito, davanti ad errori progettuali assolutamente conosciuti e documentati, pensare che l’Ispettore che ha verificato inizialmente il progetto, non fosse adeguatamente preparato per cogliere gli aspetti critici che esso presentava si è basato proprio solo sulle pochissime Normative UNI esistenti, interessanti i sistemi impermeabili, sotto l’aspetto “pratico-applicativo” e non trovando ovviamente in esse risposte adeguate al suo problema ha espresso un giudizio solo in base alla propria esperienza (magari non così specialistica riguardo i sistemi impermeabili).
In mancanza di Normative di riferimento, in questi casi dovrebbe valere soprattutto “la regola dell’arte” che finalmente la Normativa UNI 11540 definisce come segue:
“Insieme delle tecniche considerate corrette dagli specialisti del settore per l’esecuzione di determinate lavorazioni del sistema di copertura. Le leggi dello stato quale riferimento primario e le norme prodotte da enti di normazione, quando disponibili, costituiscono un quadro di riferimento per valutare la rispondenza di un’opera alle regole dell’arte. In assenza completa o parziale di riferimenti normativi, le linee guida promosse da associazioni professionali o industriali, costituiscono interpretazione referenziale e riconosciuta delle regole dell’arte. Le guide emesse da singoli Produttori costituiscono regole dell’arte per l’applicazione dei materiali prodotti dal Produttore stesso”.
E’ chiaro che, in suddetta definizione, viene contemporaneamente individuata una scaletta di valori cha passano dalle leggi dello stato alle guide dei Produttori; quindi ogni riferimento di categoria superiore, se presente, condiziona, per la rispondenza alla “regola dell’arte” la categoria inferiore. Questo articolo vuole essere pertanto una ripetizione mnemonica degli errori davvero più ricorrenti, di carattere progettuale o applicativo, che si incontrano in fase di verifica di conformità a fini assicurativi.
Errori che quando vengono analizzati con attenzione e soprattutto con logica, tenendo conto della funzionalità primaria del sistema impermeabile progettato, appaiono di semplicissima comprensione, anche ai “non specialisti di settore”.
Alcuni dei seguenti errori sono stati già analizzati (purtroppo con poco successo, vista la continua ripetitività), in altri articoli pubblicati da Specializzata, negli scorsi anni.
Tratteremo quindi, di seguito, in modo assolutamente sintetico, ma il più possibile chiaro, con suggerimenti anche di carattere pratico, quelle situazioni che comportano proprio gli errori più ricorrenti ed evidentemente meno conosciuti, che si incontrano nel settore delle impermeabilizzazioni.

Protezione dei trattamenti antiumido contro terra con fogli in HDPE bugnati
Premessa doverosa: volutamente il titolo non indica “impermeabilizzazioni contro terra” ma “trattamenti antiumido contro terra”, perché, per definizione, un’impermeabilizzazione o “elemento di tenuta continuo” deve possedere, come requisito primario, proprio la continuità della sua funzionalità di “tenuta all’acqua” (impermeabilizzazione).
Nelle pareti contro terra, salvo che non siano collegate in continuo con un’impermeabilizzazione orizzontale sotto platea (impermeabilizzazione di fondazione), soprattutto con le membrane flessibili prefabbricate, non è assolutamente possibile ottenere il requisito di continuità di tenuta, perché nel migliore dei casi la membrana impermeabile termina, inferiormente, sullo spessore del 1° solaio o sullo spessore di platea o sul dado di fondazione, con una semplice sigillatura a fiamma o con un profilo metallico sempre sigillato o con altri sistemi comunque fisicamente discontinui.
In caso di innalzamento anche momentaneo della falda o in presenza di sacche d’acqua non drenate, la sola linea di sigillatura non può essere in grado di contenere, a lungo, l’acqua, permettendo così ad essa di infilarsi tra la membrana impermeabile e la parete verticale e di risalire, per effetto dei “vasi comunicanti”, fino alla quota della falda ciclica o momentanea, penetrando attraverso lo spessore della parete all’interno del fabbricato, nei locali interrati..
Quindi il sistema di tenuta all’acqua potrà funzionare solo a “dilavamento” sulla superficie verticale, attraverso il terreno (che dovrà essere drenato alla base) e non potrà mai funzionare a “contenimento d’acqua”. Proprio questo è il motivo principale per cui un “trattamento antiumido contro terra” non può e/o non dovrebbe mai essere coperto da alcuna garanzia e/o polizza assicurativa.
Tornando ai fogli in HDPE bugnati la loro funzione primaria è quella di creare una “protezione meccanica e contemporaneamente drenante” sullo superficie della parete contro terra rivestita con membrana flessibile prefabbricata o altri trattamenti (realizzati in loco a spruzzo, pennello o spatola).
Sono sicuro, che Chi a suo tempo ha ideato questo interessante prodotto, che unisce due funzioni in un solo strato (protezione meccanica e drenaggio), l’aveva concepito già accoppiato con un Non Tessuto filtrante sulla faccia esterna, in aderenza con le bugne; La superficie di drenaggio quindi risultava essere quella compresa tra il foglio di HDPE bugnato (normalmente con spessore 8 mm) e lo strato filtrante in NT e la superficie di contatto con il trattamento antiumido o impermeabile risultava quindi essere sempre planare, con le bugne poste in negativo e rivolte all’esterno.
Poi le solite necessità di mercato (specialmente quello Italiano), volendo ridurre al massimo i costi, si è evidentemente pensato di mettere in commercio, come prodotto standard di riferimento, il foglio bugnato senza accoppiamento dello strato filtrante in NT.
In questo modo, per mantenere, il più possibile, la funzionalità di drenaggio, il foglio deve essere posato obbligatoriamente con le bugne rivolte verso la parete e quindi a diretto contatto con il trattamento antiumido o impermeabilizzazione.
Nel momento in cui si esegue il rinterro e la compattazione dello stesso o in fase di assestamento del terreno, il materiale che penetra all’interno dei vuoti delle bugne poste in negativo, crea un fortissimo effetto di attrito (dall’alto verso il basso) sulla superficie di contatto con la parete, incidendo e danneggiando molto spesso la membrana flessibile prefabbricata, (specialmente quando è in bitume polimero, quindi con mescola termoplastica) o gli altri trattamenti posti in opera.
Nel caso di utilizzo di membrane prefabbricate in bitume polimero, quando queste ultime non sono state ben incollate a fiamma sulla parete, si può arrivare anche al distacco e/o alla lacerazione delle stesse. Da quanto sopra risulta quindi che se si utilizzano come protezione i fogli in HDPE bugnati, il prodotto corretto da utilizzare è certamente quello “preaccoppiato a NT filtrante”, che oltre a proteggere meccanicamente senza creare incisioni, impedisce la penetrazione del materiale di rinterro nello spazio destinato al drenaggio.
Se proprio si è sbagliato l’ordine o ci si trova, in cantiere, con i rotoli di foglio bugnato non accoppiato, si consiglia vivamente di posizionare comunque i fogli con la superficie planare (negativo di bugna) verso il trattamento antiumido o impermeabile e di sovrapporre sulla superficie bugnata posta all’esterno uno strato filtrante in NT sintetico, possibilmente termocoeso, di media bassa grammatura. Se non verrà posato esternamente lo strato filtrante, si perderà, in quest’ultimo caso, la funzione drenante ed in fase di rinterro e le bugne, penetrando nel terreno stesso, causeranno un forte effetto di trascinamento del foglio, verso il basso, riducendone anche la funzione protettiva, specialmente sulla parte superiore della superficie verticale, che potrebbe rimanere parzialmente scoperta (il fissaggio meccanico del telo difficilmente riuscirebbe a reggere la forza di attrito che grava su di esso).
A volte, per fissare il foglio, qualche operatore poco esperto (ma sarebbero più adatti altri aggettivi più forti) addirittura cerca d’incollare a fiamma le bugne direttamente sulla membrana in bitume polimero, danneggiandola già con questa operazione e favorendone il successivo ulteriore danneggiamento, durante la fase di rinterro ed assestamento (in questo caso la membrana può arrivare anche a lacerarsi, nei punti di aderenza). Se si opera, in modo palliativo (comunque consigliato in caso di assoluta necessità), posizionando il foglio non accoppiato con NT, con le bugne verso il terreno, bisognerà tenere conto che i rotoli di foglio di HDPE risulteranno in questo caso avvolti con le bugne direzionate verso l’interno delle spire e quindi, in fase di posa, gli spezzoni di foglio andranno rivoltati, per avere le bugne verso il terreno e la superficie planare verso la parete, pertanto la memoria di curvatura contraria del foglio potrà causare qualche difficoltà di posa.
Ovviamente il possibile problema della deformazione e danneggiamento dell’elemento di tenuta (specialmente se è in membrane prefabbricate in bitume polimero) si ha anche quando, nelle coperture (esempio: a verde pensile), il foglio bugnato viene posato orizzontalmente, con le bugne rivolte verso il basso, come strato protettivo e drenante del sistema di copertura, a causa del peso degli strati posti al suo estradosso.
Anche in questo caso, se si usano i fogli in HDPE bugnati, il prodotto più corretto è sempre il foglio preaccoppiato con strato filtrante in NT, posato con la superficie planare, a contatto con l’elemento di tenuta. A titolo informativo, quando lo Scrivente, durante una fase di verifica a fini assicurativi (in particolare quando trattasi d’impermeabilizzazione continua in fondazione, con certe tipologie di prodotto assicurabili), accerta la presenza di fogli con bugne direzionate verso il trattamento impermeabile, indica nel suo report finale una “criticità” e quindi una “non conformità” del sistema impermeabile che potrebbe condizionare, successivamente, la sua assicurabilità. Ormai da anni i Produttori di membrane flessibili prefabbricate o trattamenti impermeabili si sono resi conto di quanto sia pericoloso posizionare i teli bugnati con i rilievi verso la parete ed indicano, fortunatamente, nelle schede tecniche dei fogli in HDPE bugnati da loro commercializzati (spesso purtroppo senza spiegarne il motivo e senza consigliare la tipologia di foglio più idonea) che il foglio deve essere posizionato con la parte planare a bugne negative verso la parete trattata. Quello che invece stupisce e che lascia davvero perplessi è il fatto che ancora molti Produttori di fogli bugnati danno, nelle loro schede tecniche e nei disegni in esse riportati, indicazione di posa con bugne direzionate verso la parete trattata, per mantenere l’effetto drenante. Quindi viene naturale chiedersi se questa indicazione, che si è dimostrata in molti casi non corretta, deriva da mancanza di conoscenza, da parte dei Produttori, del problema precedentemente descritto o solo da motivazioni di carattere commerciale, per non costringere il Cliente ad acquistare il prodotto più idoneo (foglio preaccoppiato con NT sulla superficie bugnata), ad un costo ovviamente superiore e quindi meno concorrenziale rispetto ad altre soluzioni di protezione drenante presenti sul mercato?!. A titolo puramente informativo la soluzione di protezione e drenaggio, sia verticale (pareti contro terra) che orizzontale (coperture a verde pensile), in sostituzione dei fogli bugnati, può anche essere realizzata correttamente con “materassini geocompositi” filtranti e drenanti, di adeguato spessore, composti da due NT o da un HDPE + un NT, accoppiati a filamenti flessibili di polipropilene, che non presentano pericolosi elementi rilevati in appoggio/aderenza sullo strato di tenuta.


Antonio Broccolino
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